Comunità Amiche della Disabilità

Ambito distrettuale n.5 Sebino. Comuni di: Iseo, Corte Franca, Marone, Monte Isola, Monticelli Brusati, Paderno Franciacorta, Paratico, Passirano, Provaglio D’Iseo, Sale Marasino, Sulzano, Zone.

Data:

18 febbraio 2025

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Descrizione

L’acquisizione del Marchio CAD Comunità Amiche della Disabilità viene ottenuto da un territorio alla prova dei fatti e dimostra di avere un potenziale inclusivo verso le Persone con Disabilità, e di volerlo mantenere ed accrescere.

Gli obiettivi del piano di comunicazione sono i seguenti:

  • Riconoscere il territorio nella sua inclusività;
  • Promuovere il marchio sul territorio;
  • Accrescere la rete di Comunità Amiche della Disabilità;
  • Rendere il Marchio CAD identificabile dai diversi stakeholder.

Nei prossimi mesi partirà la mappatura dei servizi per la disabilità, con raccolta dati presso gli esercizi commerciali

 

Da qualche anno nel territorio bresciano sotto la spinta di un partenariato composto da una società scientifica (SIDIN, Società Italiana Disturbi del Neurosviluppo) e tre Fondazioni bresciane, (ASM, Congrega e Villa Paradiso), ha preso avvio un progetto trasformativo, che intende essere una leva di cambiamento verso gli scenari del cosiddetto Welfare comunitario: il progetto Comunità Amiche della Disabilità (CAD).

Come spesso accade la “non specializzazione” delle suddette Fondazioni è stata probabilmente di aiuto nel generare qualcosa di nuovo, di non riconducibile alle logiche tradizionali. Non si tratta infatti di un progetto “erogativo”, una sorta di bancomat atto a finanziare “quelli che sono del ramo”, né di un’azione di supplenza benevolente, tesa a mettere una toppa sulle smagliature del welfare statale; le Fondazioni, in sinergia con la società scientifiche, hanno voluto dare vita ad un processo di riflessione piuttosto originale, teso a sparigliare gli assetti tradizionali, ricomponendo soggetti e attori in un quadro inedito e per così dire “orizzontale”.

Il marchio: scopo, metodologia e contenuti

Per analogia all’esperienza del progetto Dementia Friendly Community, messo a punto in Gran Bretagna dall’Alzheimer’s Society, e ripreso in Italia dalla Federazione Alzheimer Italia, il progetto CAD intende sostenere e riconoscere (mediante l’attribuzione di un marchio) l’identità di territori inclusivi, capaci di riconoscersi come Comunità Amiche della Disabilità (CAD); il marchio, destinato agli Ambiti territoriali che intendono affrontare il percorso, è dunque una sorta di leva di cambiamento, in grado di generare processi di trasformazione all’interno di quartieri e paesi in grado di interpretare una serie di indicatori che, letteratura alla mano, costituiscono i markers di una capacità inclusiva.

La creazione del marchio è giunta al termine di un percorso riflessivo e di ricerca (percorso Delphi), che, tenendo conto di elementi valoriali, politici e scientifici, ha definito quali sono i requisiti che consentono ad una città o ad un quartiere di supportare al meglio la vita delle persone con disabilità. L’attribuzione del marchio ad un territorio incentiva/sostiene la creazione di ambienti urbani nei quali le persone con disabilità sono comprese, rispettate, sostenute e fiduciose di poter contribuire alla vita della loro comunità. In una comunità amica delle persone con disabilità gli abitanti tutti sono inclusi e coinvolti, avendo la possibilità di scelta e di controllo sulla propria vita.
Il marchio viene riconosciuto dopo un percorso di analisi su una batteria di domini e indicatori, che a titolo non esaustivo sono i seguenti:

Dominio 1: l’unità territoriale nel suo complesso:

– presenza/accesso di/a un’intera filiera di servizi, da quelli più complessi agli alloggi per la vita indipendente
– presenza di progetti per l’inclusione lavorativa
– rete di trasporti pienamente accessibile e facilitata
– accessibilità umana e relazionale degli esercizi commerciali

Dominio 2: l’istituzione comunale

– evidenza della logica del progetto di vita
– evidenza di azioni di sussidiarietà in grado di coinvolgere sostegni non formali e informali
– conoscenza della popolazione delle persone con disabilità e livello di coinvolgimento nella coprogettazione

Dominio 3: l’associazionismo

– presenza di sistemi di advocacy
– presenza di persone con disabilità negli organismi di rappresentanza

Dominio 4: i servizi professionali

– evidenza della struttura del progetto di vita
– presenza di iniziative ad alto tasso di innovazione a scopo inclusivo
– presenza di iniziative e sostegni in ogni dominio di Qualità di Vita
– gestione delle transizioni tra cicli di vita e tra servizi
– presenza di servizi per la salute mentale delle persone con DI

Mediante la metodologia del marchio (labelling) si riesce così a dare il via a due azioni diffuse:

– l’azione formativa, rivolta in primo luogo ai dirigenti, e poi a tutte le persone coinvolte nella costruzione delle comunità inclusive, con contenuti variabili a seconda delle istituzioni coinvolte;
– l’azione di costruzione sociale, veicolata attraverso la valutazione della batteria di indicatori, e conseguente messa a punto di un report di possibili azioni trasformative.

In questa prospettiva, la caratteristica del marchio è analogica, e non categoriale, ovvero esso esprime, anche attraverso elementi grafici, il livello di “amicizia” che l’unità territoriale esprime nei confronti della persona con disabilità. In questo modo ha preso avvio una vera e propria operazione di policy, che, partendo dal basso, ha inteso offrire alle comunità locali (oggetto di “analisi” e “certificazione”) uno strumento di acquisizione di consapevolezza e una concreta possibilità di dialogo riguardo al delicatissimo tema del Progetto di Vita per la persona con disabilità.

Il paradigma esistenziale nei servizi alla persona

Uno slittamento di paradigma è in atto nei sistemi di protezione: dalla logica clinica della “soluzione tecnica dei problemi”, emancipazione del gigantesco e ricco Welfare State, alla logica esistenziale, che ha cura della vita, in una più povera, ma potente prospettiva generativa.

I sistemi professionali di presa in carico, infatti, in ogni ambito in cui si esprimono, corrono il rischio di centrare la loro azione sui loro stessi servizi o “trattamenti”, piuttosto che sulla persona. L’operatore mette in campo una prestazione riabilitativa, che ha come coordinate la propria competenza, da un lato, e il deficit della persona, dall’altro, con modesto o al limite nessun riguardo sul percorso complessivo della persona, nell’ambito dei cicli di vita e della progettualità che richiedono. Perché accade questo? Qual è il meccanismo in base al quale i professionisti sembrano ignorare le risorse, i desideri e le istanze proprie e profonde della persona, generando interventi centrati sul problema?

Si può affermare che il mondo dei servizi ha traslato il modello clinico, idoneo alla risoluzione di problemi tecnici (come la rottura di un femore o la cura di un tumore), al campo dei problemi esistenziali, come ad esempio la disabilità, la vecchiaia, la solitudine e la depressione. Per dare respiro agli interventi professionali e valorizzare il ruolo delle comunità è necessario entrare in un altro paradigma, che potrebbe essere definito paradigma esistenziale. Cambiando il paradigma, cambiano gli obiettivi e i soggetti: da esiti clinici e funzionali, che richiedono l’esclusività del ruolo specialistico dei professionisti, a esiti personali, che necessitano del contributo ben più ampio dei sostegni non formali e informali.

Lo scenario: verso il Welfare comunitario

Da parecchi anni in Italia si discute della riforma del sistema di Welfare, che da apparato statale diventi un sistema complessivo di solidarietà, basato sulla sussidiarietà orizzontale. Insomma, occorre allontanarsi dall’idea che per rispondere ai bisogni sia sufficiente predisporre una serie di servizi professionali, per giunta tendenzialmente stabili, già dati una volta per tutte. Esistono anche i sostegni informali, o per meglio dire esiste la prossimità: solo valorizzandola si trova la chiave per dare sostanza al cosiddetto welfare community, o Welfare di seconda generazione (Welfare 2.0).

Il tradizionale sistema di Welfare, tutto centrato sulle prestazioni professionali, ha sottratto alle comunità locali il senso di solidarietà tra uomini. Per recuperare il terreno perduto, è necessario che il progetto di vita della persona con disabilità non coinvolga solo i professionisti, ma tutta la Comunità. Per farlo, le équipe di lavoro devono convogliare il contributo delle reti informali dentro i progetti personalizzati.

In questo scenario, la crisi economica è un’opportunità, una sfida, e non una sciagura. La crisi, infatti, ha tolto ai servizi l’illusione delle coperture economiche infinite, provocando la ricerca dell’unica risorsa infinita che il mondo ha a disposizione, ovvero l’altruismo e la generosità delle persone (oltre che la loro creatività). Se non si vuole semplicemente tagliare, arretrando i servizi e ridimensionando i diritti, se si desidera moltiplicare i sostegni, e non indebolirli, è forse possibile spendere in modo uguale, ma in modo che quell’uguale diventi moltiplicativo e generativo.

 

 

 

 

A cura di

Ufficio Servizi Sociali

Passirano, Brescia, Lombardia, Italia

Telefono int. 7: 0306850557
Email: socioculturali@comune.passirano.bs.it

Pagina aggiornata il 18/02/2025